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Maggior rigore nel giudizio sui tempi dei processi che coinvolgono diritti sensibili. Breve commento a Cassazione n. 909/2015.

Il diritto alla ragionevole durata del processo, secondo la recente pronuncia n. 909/2015 della Corte di Cassazione, che pubblichiamo, deve essere considerato con maggior rigore quando la causa della quale si contesta la durata abbia ad oggetto diritti sensibili, quale quello al riconoscimento dello status di rifugiato. In tal caso, non bisogna prediligere l’ordinario intervallo di tre anni per un grado di giudizio, ma un periodo più breve, in considerazione della particolare delicatezza dei giudizi relativi allo stato delle persone. La diligenza richiesta al magistrato, nel condure tali giudizi, è maggiore rispetto ai processi ordinari, in considerazione degli effetti deleteri e pregiudizievoli che una lentezza eccessiva notoriamente produce sugli interessi dei soggetti coinvolti. Per tali ragioni non è, a maggior ragione, consentito alla Corte nazionale che si occupi dell’indennizzo ex l. 89/2001 discostarsi dai criteri liquidatori invalsi in sede internazionale. La Corte di Cassazione, riprende, sul punto, una consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, richiamando in particolare, il precedente Laino c. Italia, al quale, in questa sede, si rimanda anche per una più completa e conferente rassegna giurisprudenziale.