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Equa riparazione – creditori ammessi al passivo fallimentare

Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 2207, pubblicata in data 29 gennaio 2010.
D.S. ed altri contro Ministero della Giustizia

Massima 1
Nel giudizio ex lege Pinto, promosso per ottenere l’equa riparazione del danno cagionato dall’irragionevole durata del processo fallimentare, la durata, per il creditore ammesso al passivo fallimentare, deve essere valutata con riferimento al periodo compreso tra la proposizione dell’istanza di ammissione al passivo fallimentare e la distribuzione finale del ricavato.

Massima 2
Nel valutare il periodo di ragionevole durata delle procedure fallimentari, tenendo sempre ben presenti i principi affermati nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, dovendosi adottare, in conformità a questi ultimi, dei parametri di ragionevolezza della durata del processo, seppur flessibili in ragione della particolarità della fattispecie, in assenza di ragioni che giustifichino una diversa conclusione, non può addossarsi alla parte ricorrente altro onere che sia diverso da quello di allegare e provare una durata irragionevole del contenzioso, come tale idonea a fare da fondamento alla sua domanda.

Massima 3
Nel procedimento per l’equa riparazione, che segue le forme semplificate del rito camerale, il giudice ha il potere-dovere di assumere informazioni di ufficio, mentre la parte ha la facoltà, e non l’onere in senso tecnico, di chiedere che la Corte disponga l’acquisizione in tutto o in parte degli atti e dei documenti del procedimento in cui si assume essersi verificata la violazione.
In mancanza di elementi che giustifichino conclusioni contrarie, che resta onere dell’Amministrazione resistente dedurre e provare, deve ritenersi che la durata del processo fallimentare non possa mai ragionevolmente superare i cinque anni.