Corte Costituzionale, 12 ottobre 2016, n. 219 Per la rivalsa dello Stato nei confronti degli Enti Locali, per condotte ad essi imputabili, poste in essere in violazione di norme della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, occorre, comunque, accertare una specifica responsabilità degli stessi. Il caso: Il Tribunale ordinario di Bari sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 16-bis, comma 5, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, il quale prevede il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti delle amministrazioni locali responsabili di violazioni della CEDU, per gli oneri finanziari sostenuti in esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di Strasburgo nei confronti dello Stato, sul presupposto della violazione di molteplici parametri costituzionali. In particolare, veniva denunciata: la portata “retroattiva” della disposizione censurata, per contrasto con il principio di ragionevolezza – artt. 3 e 97 Cost. – in virtù dell’irrogazione di una sanzione a fronte di comportamenti posti in essere quando non erano reputati fonti di responsabilità; la carenza di elementi costitutivi della responsabilità dell’ente territoriale, avendo quest’ultimo operato nel pieno rispetto del principio di legalità; la violazione degli artt. 3, 97 e 117, comma 1, Cost., sul presupposto della previsione di una disciplina uniforme in tema di diritto di rivalsa, pur a fronte di situazioni differenti, essendo prevista l’automatica disapplicazione del diritto interno soltanto nel contrasto con il diritto comunitario, non con il diritto convenzionale; la violazione dell’art. 114 Cost., per la subordinazione degli enti locali che la disciplina del diritto di rivalsa avrebbe determinato rispetto allo Stato; l’inosservanza degli artt. 118, 119 comma 4, Cost., in quanto, le funzioni pubbliche degli enti locali sarebbero state vanificate dall’impatto che l’entità del risarcimento avrebbe avuto sui loro bilanci; la violazione dell’art. 24 Cost. per l’impossibilità del Comune di prendere parte al giudizio dinanzi alla Corte europea e, al tempo stesso,per l’inerzia difensiva manifestata dallo Stato italiano.
La sentenza: La Corte Costituzionale dichiarava l’inammissibilità della questione di legittimità sollevata, difettando di un’autonoma ed adeguata motivazione in ordine alle ragioni di contrasto tra la disposizione censurata e i parametri costituzionali richiamati. Difatti, premessa l’inconferenza del riferimento costituzionale evocato, non essendo l’art. 24 Cost. applicabile nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte europea e, costituendo per di più, l’inerzia difensiva dello Stato un mero inconveniente di fatto nella cornice del suddetto procedimento; il fondamento della rivalsa statale nei confronti degli enti locali viene espressamente rinvenuto dalla Corte, nella responsabilità degli enti per le condotte ad essi imputabili, poste in essere in violazione della CEDU. Il requisito della imputabilità, immanente nel concetto di responsabilità, d’altronde, è coerente con la ratio dell’intera normativa sull’esercizio di rivalsa, finalizzata, per l’appunto, a prevenire le violazioni mediante la responsabilizzazione dei diversi livelli di governo coinvolti nell’attuazione del diritto europeo. In sostanza, l’accertamento della violazione contenuto nella sentenza di condanna della Corte Europea, rappresenta l’elemento costitutivo della fattispecie delineata nell’art. 16-bis e, al tempo stesso, il discrimen ai fini della sua concreta applicabilità. Per le ragioni suddette, dunque, con la sentenza n. 219, depositata in data 12 ottobre 2016, la Corte Costituzionale dichiarava la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16-bis, comma 5, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, inammissibile in relazione agli artt. 97, 114, 117, comma 1, 118 e 119, comma 4, Cost., ed infondata in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.
Riflessione realizzata dall’Avvocato Giovanni Romano e dalla Dott.ssa Isabella Martone, Dottoranda di ricerca in Diritto Civile presso Università degli Studi del Sannio