Interventi e pubblicazioni

Blocco della perequazione delle pensioni

Si ritengono necessarie alcune puntualizzazioni, alla luce dei recenti sviluppi in materia pensionistica, in vista della proponibilità di un’azione in favore delle categorie di pensionati pregiudicate dal blocco della perequazione delle pensioni – stabilito con decreto n. 201/2011, successivamente dichiarato incostituzionale, in riferimento all’art. 24, co. 25, con sentenza n. 70/2015 – che ancora non hanno provveduto a tutelare i propri interessi.
Cosa si intende per perequazione delle pensioni Con il termine perequazione si intende quel meccanismo di rivalutazione dell’importo pensionistico in relazione al tasso d’inflazione. In concreto, tale meccanismo comporta l’adeguamento delle pensioni all’aumento del costo della vita alla luce dei dati Istat, al fine di proteggere il potere d’acquisto del trattamento previdenziale e pensionistico erogato dalla previdenza pubblica. Rientrano, quindi, sia le pensioni dirette che quelle indirette.
Interventi legislativi di modifica Il meccanismo in esame è stato più volte oggetto di interventi e di modifiche legislative. Il Decreto Legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito in legge il 22 dicembre 2011, n. 214 (c.d. Legge Fornero) ha disposto, all’art. 24 comma 251, il blocco dell’indicizzazione, per gli anni 2012/13, nei confronti delle pensioni che erano di importo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps andando, quindi, a comprimere il potere d’acquisti del trattamento previdenziale dei pensionati italiani (1).
Sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, tale previsione normativa è stata dichiarata parzialmente incostituzionale con sentenza n. 70/2015, nella parte in cui prevedeva che “In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento”. Più precisamente, i giudici della Corte hanno ritenuto giusto evidenziare che la rivalutazione automatica delle pensioni erogate dall’INPS è uno strumento introdotto a tutela dei pensionati in quanto atto ad arginare il fenomeno della svalutazione delle pensioni. Pertanto, partendo dall’assunto che il diritto in oggetto trae fondamento nella carta costituzionale, esso non può essere oggetto di irragionevoli limitazioni da parte dal legislatore, senza peraltro individuarne una base motivazionale chiara e precisa. In seguito alla declaratoria di incostituzionalità il governo Renzi è intervenuto sul punto con il decreto legge n. 65 del 21 maggio 2015, convertito con Legge n. 109/2015. L’art. 1 del succitato decreto è intervenuto modificando l’art. 24 co. 25 del D.L. 201/2011 – dichiarato parzialmente incostituzionale – ed ha introdotto un nuovo sistema di rivalutazione delle pensioni basato su di un meccanismo di adeguamento a scaglioni, in forza del quale è riconosciuta la rivalutazione come di seguito: i) del 100% per i trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS; ii) del 40% per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS; iii) del 20% per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS; iv) del 10% per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS. Restano dunque ancora “bloccati” i trattamenti pensionistici superiori a sei volte il trattamento minimo INPS.


Anche tale previsione, alla luce dei principi espressi dalla Consulta, appare pregiudizievole e discriminatoria per alcune fasce di pensionati.
Come agire a tutela In seguito a quanto delineato è chiaro che, al fine di non veder pregiudicata la propria posizione, è necessario intervenire. Preliminarmente occorre interrompere il decorso del termine di prescrizione, previsto in 5 anni a partire dal 2012, mediante l’invio di una missiva all’INPS. A tal fine, si precisa che coloro i quali non hanno provveduto all’invio della suddetta missiva dovranno agire nel più breve tempo possibile al fine di vedersi prescritto il minor numero di possibile di ratei di rivalutazione relativi agli anni 2012 e 2013; ai fini esemplificativi, se la diffida all’INPS viene inviata entro il 31.01.2017, il pensionato subirà la decurtazione solo del rateo relativo a gennaio 2012, e così via. Coloro i quali, invece, hanno inviato la diffida entro il 31.12.2016 ma non hanno provveduto ad incardinare il giudizio presso le sedi competenti, mantengono salvo il diritto a percepire la totalità dei ratei di rivalutazione loro spettanti. In seguito all’invio della diffida, considerata la ormai chiara posizione di rigetto dell’INPS alla luce della normativa vigente, sarà, in ogni caso, necessario procedere giudizialmente presso il tribunale competente (Corte dei Conti per il pubblico impiego e Tribunale del lavoro per il privato) al fine di veder restaurato il proprio pregiudizio, e di ottenere una nuova declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 1 del D.L. 65/2015. Finora numerosi Tribunali, valutata la non infondatezza di quanto sopra esposto, hanno rimesso la questione innanzi alla Corte Costituzionale, rilevando, inoltre, un aperto contrasto con l’art. 6 comma 1 della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), di cui l’Italia è firmataria. Infatti, con il decreto legge 65/15, si ritiene compresso il diritto ad una tutela giurisdizionale equa e ragionevole e, più precisamente, il diritto di ogni cittadino ad un equo processo consistente nel vedersi applicare la disciplina della perequazione delle pensioni risultante dalla declaratoria di incostituzionalità, affidamento del tutto legittimo (poiché basato sulle rispettive competenze degli organi dello Stato nonché sulla certezza giuridica di cui il rispetto del giudicato – tanto più il giudicato costituzionale – costituisce componente fondamentale), che è stato invece disatteso.
In conclusione, in forza della sentenza n. 70/2015 della Corte Costituzionale, ai pensionati con pensione mensile pari o superiore a € 1.405 euro mensili lordi per il 2012 e a € 1.441,50 per il 2013 spettano sia l’aumento mensile sia gli arretrati a far data dal 1° gennaio 2012.

(1) Decreto Legge n. 201 del 6 dicembre 2011, Art. 24, comma 25: “In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 per il biennio 2012 e 2013 è riconosciuta esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a due volte il trattamento minimo Inps, nella misura del 100 per cento. L’articolo 18, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni e integrazioni, è soppresso. Per le pensioni di importo superiore a due volte trattamento minimo Inps e inferiore a tale limite, incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante ai sensi del presente comma, l’aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato”.

Realizzato dagli Avvocati Giovanni Romano, Maurizio De Nicolais ed Ermelinda Vetrone