La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo si prefigge lo scopo di tutelare diritti non teorici o illusori ma concreti ed effettivi (si veda, fra molte altre, la sentenza Kamasinski/Austria del 19 dicembre 1989, Serie A nr. 168, paragrafo 65). Peraltro, l’elenco delle deroghe al diritto alla libertà contenuto nell’articolo 5, paragrafo 1, ha natura esaustiva. Soltanto un’interpretazione restrittiva coincide con lo scopo e l’oggetto di tale disposizione: garantire che nessuno sia arbitrariamente privato della sua libertà (si vedano, in particolare, le sentenze Van der Leer/Paesi Bassi del 21 febbraio 1990, Serie A nr. 170-A, pagina 12, paragrafo 22, Wassink/Paesi Bassi del 21 febbraio 1990, Serie A nr. 170-A, pagina 12, paragrafo 22, Quinn/Francia, del 22 marzo 1995, Serie A nr. 311, pagina 17, paragrafo 42, e Giulia Manzoni/Italia, del 1° luglio 1997, Recueil des arrets ed decisions 1997-III, paragrafo 25). Ai sensi dell’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica nr. 394 del 1990, qualora le condizioni fissate dalla legge per essere ammessi al beneficio dell’indulto siano soddisfatte, i tribunali italiani nono godono di alcun potere discrezionale: sono obbligati ad applicare l’indulto nei limiti prefissati dalla legge. Pertanto, non vi è detenzione <<regolare>> ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della Convenzione qualora la decisione giudiziaria relativa alla domanda del detenuto intervenga in fase avanzata, ossia dopo la liberazione oppure quanto l’interessato abbia già scontato una pena superiore a quella che sarebbe risultata nel caso di concessione del beneficio dell’indulto. L’obbligo di esaurire le vie di ricorso interne si limita all’obbligo di fare un uso normale delle vie di ricorso verosimilmente efficaci, sufficienti e accessibili (Buscarini e altri/San Marino (GC), nr. 24645/94, CEDH 1999 I, paragrafo 26, e Assenov e altri/Bulgaria, sentenza del 28 ottobre 1998, Recueil des arrets et decisions 1998 VIII, paragrafo 85); il ricorso deve inoltre essere in grado di porre direttamente rimedio alla situazione contestata (Pezone/Italia, nr. 42098/98, paragrafo 45, 18 dicembre 2003). Un ricorrente non è tenuto a esercitare i ricorsi che, pur costituendo teoricamente una via di ricorso interna, di fatto siano privi di possibilità di successo. Riferendosi alle norme sulla responsabilità civile dei magistrati, la Corte osserva che non si contesta ai giudici nazionali di aver adottato una condotta che possa aver impegnato la loro responsabilità ai sensi della legge nr. 117 del 1988: la detenzione di fondava su un ordine di esecuzione legale. Constata che nessuna disposizione del diritto nazionale consentiva al ricorrente di introdurre una domanda di riparazione per ingiusta detenzione davanti all’autorità giudiziaria. Pertanto vi è stata anche violazione dell’articolo 5, paragrafo 5.
(Da “Diritto Comunitario ed Internazionale”, bim. marzo-aprile 2006, suppl. della Rivista “Guida al Diritto“).