Con la sentenza in oggetto (tradotta in italiano) la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ritorna, ancora una volta, sulla tematica dei rapporti tra la ricevibilità dei ricorsi ex art. 35 CEDU ed il rimedio interno introdotto con la Legge Pinto, affermando il principio in base al quale, se il rimedio interno è idoneo a riparare i pregiudizi morali connessi alle violazioni di norme convenzionali che si pongono come conseguenza dell’eccessiva durata di una procedura, v’è l’obbligo di esperirlo prima di adire il Giudice internazionale.
Qui di seguito, in sintesi, il ragionamento seguito dalla Corte.
La Corte Europea rileva innanzitutto che, con decisione n. 362 del 14 gennaio 2003, la Corte di Cassazione, nel decidere sull’eccessiva durata di una procedura fallimentare, sul ricorso introdotto dal medesimo fallito, ha affermato che il danno morale è il risultato di un patimento del ricorrente dovuto al prolungamento, aldilà del limite ragionevole del ritardo del processo, della condizione di fallito e delle limitazioni relative gravanti sulla libertà di circolazione, sul diritto all’elettorato, sulla possibilità di esercitare la libera professione, e che la liquidazione di detto danno non si possa calcolare che attraverso un’equa valutazione che tenga conto, oltre che della durata della procedura, anche della particolare natura del caso, e dei diritti della persona totalmente o parzialmente violati.
Considerato, dunque, che la suddetta decisione riconosce che la liquidazione del danno morale in materia di lungaggini di una procedura concorsuale deve tener conto delle limitazioni dei diritti del fallito nel corso della medesima procedura, dal momento del deposito di tale pronuncia, il mezzo del ricorso interno previsto dalla Legge Pinto è ritenuto idoneo a riparare anche le ulteriori violazioni della normativa convenzionale connesse alle limitazioni dei diritti del fallito.
La Corte ha giudicato, altresì, ragionevole ritenere che la sentenza della Corte di Cassazione in questione non possa essere ignorata a decorrere dal 14 luglio 2003 e che, da tale data dunque, si esige che i ricorrenti esperiscano tale rimedio interno ai fini dell’art. 35 § 1 della Convenzione.
Nel caso di specie, il fatto che il ricorrente avesse introdotto il ricorso dinanzi alla Corte Europea nel 2001, comporta che lo stesso debba essere dichiarato ricevibile ed, essendosi riscontrate le violazioni dedotte del ricorrente, debba accordarsi un’equa soddisfazione per il pregiudizio morale sofferto.