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Sentenza della Corte di Giustizia dell’UE (Prima Sezione) del 7 aprile 2022 (causa C‑236/20), avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna – Bologna, con ordinanza del 27 maggio 2020.

In data 7 aprile 2022, con una pronuncia che farà sicuramente scalpore e creerà un proficuo dibattito interno, la Corte di Giustizia dell’UE è tornata, con esito dirompente, sulla annosa questione della compatibilità della normativa italiana, disciplinante il trattamento lavorativo, assistenziale e previdenziale dei Giudici di Pace, e le fonti unionali, sia di primo che di secondo livello.

L’oggetto del Rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE riguardava “Politica Sociale – Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – Clausole 2 e 4 – Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo parziale – Clausola 4 – Principio di non discriminazione – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Giudici di pace e magistrati ordinari – Clausola 5 – Misure volte a sanzionare il ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato – Direttiva 2003/88/CE – Articolo 7 – Ferie annuali retribuite»

Secondo i Giudici del Lussemburgo, “1) L’articolo 7 della direttiva 003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997, che figura in allegato alla direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, come modificata dalla direttiva 98/23/CE del Consiglio, del 7 aprile 1998, nonché la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa
all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che non prevede, per il giudice di pace, alcun diritto a beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni né di un regime assistenziale e previdenziale che dipende dal rapporto di lavoro, come quello previsto per i magistrati ordinari, se tale giudice di pace rientra nella nozione di «lavoratore a tempo parziale» ai sensi dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale e/o di «lavoratore a tempo determinato» ai sensi dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, e si trova in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario.
2) La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale in forza della quale un rapporto di lavoro a tempo determinato può essere oggetto, al massimo, di tre rinnovi successivi, ciascuno di quattro anni, per una durata totale non superiore a sedici anni, e che non prevede la possibilità di sanzionare in modo effettivo e dissuasivo il rinnovo abusivo di rapporti di lavoro
“.

Sanciti, pertanto, i suddetti princìpi, con dichiarazione di probabile incompatibilità della normativa italiana in materia, si resta in attesa dell’adeguamento ai medesimi da parte dei Giudici interni.

In ogni caso, ad oggi, a prescindere dai futuri risvolti e dalle successive applicazioni della suddetta pronuncia, vi è grande soddisfazione nel collegio difensivo, composto dagli Avvocati Giovanni Romano, Egidio Lizza e Luigi Serino, con l’augurio di poter portare avanti la prestigiosa battaglia in ogni sede adatta, non solo quelle giurisdizionali.

In allegato, si mette a disposizione degli utenti la sentenza in epigrafe.