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La Corte di Strasburgo tutela il personale ATA: la Sent. Cicero e altri c. Italia

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO CAUSA CICERO E ALTRI C. ITALIA Sentenza del 30 gennaio 2020 Introduzione Il 30 gennaio 2020, la I Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo ha pronunciato una sentenza di notevole importanza per alcuni profili processuali e sostanziali legati all’applicazione di una legislazione retroattiva a procedimenti nazionali in corso. Facendo perno sul principio di diritto e su quello di equo processo, i Giudici di Strasburgo si sono soffermati sugli effetti dell’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia e sulla sproporzione di detti effetti sui diritti sostanziali dei singoli, in particolare sul diritto di al rispetto dei propri beni. Essi sono così giunti ad accertare la violazione dell’art. 6 della Convenzione e dell’art. 1 del I Protocollo e ad accordare un’equa soddisfazione alle parti ricorrenti. I fatti I ricorrenti erano personale amministrativo, tecnico e ausiliario di istituti scolastici inizialmente assunti da enti locali e poi, per effetto dell’articolo 8 della legge n. 124/99, trasferiti nei ruoli del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, a far data dal 1° gennaio 2000. A differenza del regime di remunerazione gestito dagli enti locali, che consisteva in uno stipendio tabellare integrato da elementi retributivi accessori, la remunerazione dei dipendenti del Ministero era calcolata soltanto con riferimento a uno stipendio tabellare, incrementato progressivamente nel tempo, sulla base dell’anzianità di servizio. Per tale ragione, la legge n. 124/99, all’articolo 8 comma 2, aveva previsto che al suddetto personale venisse riconosciuta, ai fini giuridici ed economici, l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza. Tuttavia, il Ministero convertì lo stipendio corrisposto ai ricorrenti dagli enti locali al 31 dicembre 1999 in un’anzianità virtuale con il nuovo datore di lavoro, ai sensi del decreto interministeriale 5 aprile 2001, comprendente un Protocollo di intesa tra l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, “ARAN” e le pertinenti organizzazioni sindacali, non riconoscendo pienamente l’anzianità di servizio maturata alle dipendenze degli enti locali. I ricorrenti adirono i tribunali interni sostenendo l’illegittimità di detta conversione e chiedendo l’inquadramento nel livello professionale corrispondente alla piena anzianità di servizio a decorrere dalla data del trasferimento, nonché la determinazione del risarcimento a loro dovuto. Nelle more di tali procedimenti, venne emanata la Legge finanziaria 2006 (Legge n. 266/2005), il cui articolo 1 fornì un’interpretazione autentica dell’art. 8 della Legge n. 124/1999, avente dunque un’efficacia retroattiva, sulla base della quale i giudici interni rigettarono le pretese dei ricorrenti. Questi introdussero allora cinque distinti ricorsi alla Corte europea (nn. 29483/11, 69172/11, 13376/12, 14186/12 e 33534/11), che, visto il medesimo oggetto, sono stati riuniti ed esaminati congiuntamente in un’unica sentenza. Sulla dedotta violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione I ricorrenti hanno lamentato che l’ingerenza che l’emanazione, avvenuta sei anni dopo, della Legge finanziaria 2006 aveva causato ai loro procedimenti in corso, dei quali lo Stato era parte, aveva pregiudicato il loro diritto a un equo processo, in quanto non sussistevano motivi imperativi di interesse generale che giustificassero tale ingerenza. Il Governo, dal canto suo, richiamando quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 311 del 2009, ha dedotto che l’intenzione del legislatore non avrebbe potuto essere quella di riconoscere la piena anzianità di servizio dei dipendenti trasferiti, in quanto la Legge n. 124 del 1999 non conteneva alcuna disposizione economica per coprire tali spese, e che non sussisteva alcuna assoluta aspettativa legittima all’interpretazione proposta dai ricorrenti. Tali deduzioni sono state superate dalla Corte di Strasburgo, la quale, sul punto, ha ripetutamente riconosciuto che, ferma restando la possibilità per il legislatore di disciplinare, mediante nuove disposizioni retroattive, i diritti derivanti da leggi in vigore, il principio dello stato di diritto e la nozione di equo processo sanciti dall’articolo 6 vietano, salvo che per motivi imperativi di interesse pubblico, l’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia diretta ad influenzare la determinazione di un procedimento giudiziario (ex multis: Agrati e altri c. Italia, nn. 43549/08 e altri due, 7 giugno 2011; De Rosa e altri c. Italia, nn. 52888/08 e altri tredici, 11 dicembre 2012; Azienda Agricola Silverfunghi S.a.s. e altri c. Italia, nn. 48357/07 e altri tre, § 76, 24 giugno 2014; Maggio e altri c. Italia, nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, § 45, 31 maggio 2011). Nel caso di specie, la Corte ha affermato che, data l’assenza di motivi di tal genere e considerato che l’interpretazione del legislatore si fondava su mere considerazioni di natura economica, l’ingerenza legislativa causata dall’applicazione di disposizioni retroattive a procedimenti in corso, al fine di determinarne l’esito, non può essere giustificata e integra una violazione dell’articolo 6 § 1. Sulla dedotta violazione dell’articolo 1 del I Protocollo I ricorrenti hanno inoltre lamentato che l’applicazione della legge retroattiva ai loro procedimenti ha costituito un’ingerenza sproporzionata nel loro diritto di proprietà. In particolare, tale applicazione li aveva privati di diverse indennità, quali i premi di produzione. Essi hanno sostenuto che erano titolari di una legittima aspettativa all’accoglimento della loro pretesa, che si sarebbe certamente realizzata se la disposizione interpretativa non fosse stata applicata ai loro procedimenti in corso. Sulla base della medesima giurisprudenza sopra citata, la Corte ha valutato come eccessivo e sproporzionato l’onere che i ricorrenti hanno dovuto sostenere a causa dell’ingerenza legislativa, una sproporzione tale da minare il giusto equilibrio tra l’interesse pubblico e la protezione dei diritti delle persone. Essa ha così constatato la violazione dell’articolo 1 del I Protocollo. Ai sensi dell’art. 41 della Convenzione, la Corte ha poi accordato a ciascun ricorrente un’equa soddisfazione a titolo di danno patrimoniale pari all’importo corrispondente alla differenza tra la retribuzione percepita a far data dal trasferimento e la retribuzione che avrebbe dovuto essergli corrisposta sulla base del riconoscimento dell’intera anzianità di servizio, maturata alle dipendenze degli enti locali; quanto al danno non patrimoniale, la Corte ha invece ritenuto che la constatazione delle violazioni fosse sufficiente a risarcire i ricorrenti del danno non patrimoniale subito. Opinione parzialmente dissenziente del giudice Wojtyczek Particolarmente interessante è l’opinione dissenziente del giudice Wojtyczek, secondo cui non vi è stata una violazione dell’articolo 6 § 1, poiché detto articolo non proibirebbe modifiche delle norme giuridiche sostanziali applicabili ai procedimenti già in corso; pertanto, la causa avrebbe dovuto essere stata esaminata innanzitutto ai sensi dell’articolo 1 del I Protocollo, che tutela la proprietà dalle modifiche arbitrarie di norme giuridiche sostanziali e la cui violazione, secondo il giudice, si è certamente prodotta. In base al suo ragionamento, l’articolo 6 offrirebbe una tutela procedurale e garanzie formali, ma non fornirebbe protezione dalle modifiche della legge sostanziale applicabili ai rapporti giuridici e quindi, conseguentemente, applicabili anche ai processi relativi ai pertinenti rapporti giuridici. La protezione dalla legislazione sostanziale ingiusta sarebbe invece assicurata dalle disposizioni sostanziali della Convenzione, in questo caso dall’art. 1 del I Protocollo, e non sarebbe giuridicamente corretto estendere eccessivamente la protezione dell’articolo 6 alle modifiche del diritto sostanziale. Secondo Wojtyczek, nel caso di specie, lo Stato è effettivamente intervenuto al fine di modificare il contenuto del rapporto sostanziale intercorrente tra sé stesso e le persone interessate, a prescindere dal fatto che le persone interessate avessero instaurato un procedimento giudiziario. Esso è cioè intervenuto nei rapporti di diritto sostanziale e non nei procedimenti. Se così non fosse – ha argomentato il giudice – la conseguenza sarebbe quella di riconoscere una protezione rafforzata solo alle persone interessate dalle modifiche della legislazione sostanziale che abbiano instaurato un procedimento giudiziario. L’instaurazione del procedimento giudiziario è, al contrario, irrilevante ai fini della tutela.