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Le leggi di interpretazione autentica e la negazione di diritti già acquisiti. La vicenda del personale ATA

di Luigi Serino

La lunga vicenda del personale ATA, dimostra,  ancora una volta, che il diritto non finisce in Italia ed anzi che l’ordinamento sovranazionale offre delle garanzie sostanzialmente maggiori, rispetto alle quali, poi, i giudici italiani sono tenuti a conformarsi. La tanto denegata Europa sociale rappresenta, pertanto, un argine alle furie del legislatore, che se può ignorare chi ad essa si oppone dentro i confini nazionali, non può prescindere dai vincoli che gli derivano dalla sua appartenenza alla famiglia europea.

In breve, l’art. 8 della legge n. 124/99, prevedeva a favore di detto personale l’inquadramento nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti a quelli svolti alle dipendenze dell’ente locale di provenienza e il riconoscimento ai fini giuridici ed economici dell’anzianità maturata nel ruolo di provenienza. L’intento del legislatore era, dunque, quello di uniformare le gestioni del personale scolastico amministrativo, tecnico ed ausiliario, al fine di perequarne il trattamento giuridico ed economico, fino ad allora affidato in parte alla gestione dello Stato e in parte dell’ente locale di pertinenza (comune e provincia).

Di seguito, nel rendere attuativa tale norma, venivano approvati due decreti ministeriali, ovvero i decreti del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con i Ministri dell’interno, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione pubblica, del 23 luglio 1999 “Trasferimento del personale ATA dagli enti locali allo Stato, ai sensi dell’art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124”, e del 5 aprile 2001 “Recepimento dell’accordo ARAN – Rappresentanti delle organizzazioni e confederazioni sindacali in data 20 luglio 2000, sui criteri di inquadramento del personale già dipendente degli enti locali e transitato nel comparto scuola”. La disciplina introdotta con i citati decreti attuativi era da un lato non conforme al dettato della legge, dall’altro fortemente penalizzante per il personale transitato dai ruoli locali ai ruoli dello Stato. In particolare la questione fondamentale che si poneva in essere era se la garanzia del riconoscimento ai fini giuridici ed economici dell’anzianità maturata presso gli enti locali in favore dei dipendenti ATA passati da tali ruoli a quelli statali, potesse risolversi nell’attribuzione ai dipendenti del cd. “maturato economico”.