Novità CEDU

La Corte di Cassazione ritorna ad esaminare le questioni connesse alla ammissibilità della domanda di equa riparazione nel processo amministrativo.

Con le sentenze in commento la Suprema Corte di Cassazione ribadisce due importanti principi in materia di equa riparazione, con specifico riferimento alla irragionevole durata del processo amministrativo. Infatti, da un lato afferma che la decorrenza del termine ragionevole di durata della causa non può subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo o alla ritardata presentazione di essa, in quanto l’innovazione introdotta dall’art. 54 comma 2 d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. con l. 6 agosto 2008, n. 133, secondo cui la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata l’istanza «di prelievo» ai sensi dell’ art. 51 r.d. 17 agosto 1907, n. 642, non può incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti, in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, restano regolati, secondo il fondamentale principio del tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere e secondo cui – tuttavia – la mancata o ritardata presentazione dell’istanza di prelievo può incidere, entro i limiti dell’equità, sulla determinazione dell’entità dell’indennizzo con riferimento all’art. 2056 cod. civ. richiamato dall’art. 2 della legge n. 89/2001 (cfr. ex plurimis, le sentenze nn. 28507 del 2005, pronunciata a sezioni unite, 24901 del 2008, 14753 del 2010). D’altra parte, invece, i giudici di legittimità sottolineano come il diritto all’equa riparazione di cui all’art. 2 della legge n. 89/01, spetti a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, le sentenze nn. 9938 del 2010, 25595 del 2008, 21088 del 2005). 

Corte di Cassazione: sentenze nn.5460 e 5461 pubblicate in data 8 marzo 2011.