La costante pratica di non eseguire automaticamente le decisioni delle Corti d’Appello in materia di equa riparazione per la violazione del termine di ragionevole durata dei processi, impone al cittadino di intraprendere una lunga ed estenuante fase esecutiva volta al recupero delle somme concesse a titolo di equa soddisfazione. Fase esecutiva che si concentra, sostanzialmente, nel notificare al Ministero resistente prima il decreto della Corte d’Appello e poi atto di precetto. Una volta esperite tali azioni la Pubblica Amministrazione comunque non si adopera per il riconoscimento della somma di denaro concessa al cittadino a titolo di equa riparazione, costringendolo, così, a proporre atto di pignoramento presso terzi nei confronti della Banca d’Italia. Tale comportamento si pone in netto contrasto con quanto più volte stigmatizzato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale costantemente precisa che, una volta che un cittadino abbia ottenuto un credito dalla Pubblica Amministrazione, a seguito di una pronuncia giudiziaria, quest’ultima è tenuta a conformarsi alla pronuncia del Giudice al massimo entro sei mesi e senza che il cittadino sia costretto ad intraprendere una lunga fase esecutiva. Del resto, non risulta neanche possibile per il cittadino promuovere un ulteriore ricorso ex lege Pinto per lamentarsi della durata eccessiva di un precedente ricorso volto ad ottenere una equa riparazione derivante dall’irragionevole durata del processo. Con la sentenza Simaldone c. Italia, la Corte ha infatti evidenziato che costringere il ricorrente ad intraprendere un nuovo rimedio ex lege Pinto sarebbe come rinchiudere il ricorrente stesso all’interno di un circolo vizioso dove il disfunzionamento di un rimedio lo costringerebbe ad utilizzarne un altro. Ad ogni modo non resta che adire nuovamente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per rivendicare l’inefficienza del rimedio “Pinto”. […]
12
Apr
2011