Novità CEDU

Equa riparazione e processo amministrativo. Riconoscimento del danno in presenza del decreto di perenzione. Danno da durata e Trattato di Lisbona.

Molto spesso dinanzi ai giudici amministrativi italiani si verifica l’ipotesi in cui, proprio per il trascorrere del tempo, sopravviene una carenza di interesse alla decisione per l’interessato, il quale, conseguentemente, omettendo di presentare, poi, nei termini prescritti, l’indispensabile istanza per la prosecuzione del processo, determina la dichiarazione di perenzione di quest’ultimo.
In effetti, i giudici amministrativi, non provvedendo a fissare l’udienza per la trattazione del ricorso nel merito in un tempo ragionevole, delle volte, possono far venir meno quell’interesse alla definizione della controversia da parte del ricorrente, il tutto in palese violazione dell’obbligo di organizzare il sistema giudiziario in maniera che le giurisdizioni possano assolvere all’obbligo di garantire ad ognuno il diritto ad ottenere, entro un termine ragionevole, una decisone definitiva circa le proprie posizioni giuridiche coinvolte in un processo.
Al senso di denegata giustizia che si abbatte sull’inerme cittadino, può però rimediarsi attraverso una domanda di equa riparazione dinanzi la Corte d’Appello territorialmente competente. Difatti, secondo gli ultimi arresti giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione, non può essere negata la domanda di equa riparazione anche laddove sia intervenuta una dichiarazione di perenzione, proprio perché la mancata presentazione dell’istanza di fissazione, rendendo esplicito l’attuale disinteresse per la decisione di merito non impedisce una valorizzazione dell’atteggiamento tenuto dalle parti nel periodo precedente, quale sintomo di un interesse mano a mano decrescente ma comunque meritevole di tutela sotto l’aspetto del diritto alla ragionevole durata dei processi.


In presenza di una violazione del predetto obbligo, la parte può rivolgersi, quindi, al giudice nazionale (nella specie, la Corte d’Appello territorialmente competente), per richiedere un’equa riparazione, grazie alla legge n.89/2001, denunziando che l’eccessiva durata della procedura presupposta ha determinato nei suoi confronti la lesione del diritto alla ragionevole durata del procedimento giudiziario ex art. 6 par. 1 C.E.D.U., in considerazione della sostanziale impossibilità di veder definito il proprio contenzioso appunto in tempi rapidi.
Va, quindi evidenziato che, ai fini della quantificazione della domanda risarcitoria, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, può chiedersi direttamente la disapplicazione della normativa interna che riconosce un danno soltanto per il periodo di irragionevole durata in favore della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che è ferma nel riconoscere al cittadino vittima di un processo troppo lento, un danno rapportato a tutto il periodo del processo.
La forza vincolante delle sentenze della Corte Europea e la loro posizione gerarchicamente sovraordinata rispetto alla legge nazionale consentono, in definitiva, di poter dire che va disapplicata la normativa interna laddove prevede il risarcimento del danno soltanto per gli anni eccedenti la ragionevole durata, e va al contempo risarcito, in conformità a quanto previsto dalla giurisprudenza della Corte Europea, il cd. “danno da durata”, dovendosi assumere come parametro temporale l’intera durata del procedimento presupposto.