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Equa riparazione – crediti fallimentari. Le più recenti pronunzie dei giudici della Cassazione.

CORTE DI CASSAZIONE – Sezione Prima
Sentenze nn. 9607 e 9608 del 17 dicembre 2009 – 22 aprile 2010 (data della pubblicazione).
Anna G. ed altri c/ Ministero della Giustizia
Giuseppe B. ed altri c/ Ministero della Giustizia.

La Suprema Corte di Cassazione affronta nuovamente la problematica dei ritardi interessanti le procedure fallimentari, con riferimento ai crediti ammessi al passivo fallimentare, riaffermando ed ulteriormente rafforzando alcuni consolidati principi, dai quali, purtroppo, continuano a discostarsi alcune Corti territoriali.
I principi di cui innanzi possono essere sinteticamente riassunti come segue.

Con riferimento alla durata della procedura fallimentare (volta alla realizzazione dell’esecuzione concorsuale), la valutazione del termine di ragionevole durata va effettuata non con esclusivo riferimento  al tempo impegnato nella distribuzione dell’attivo ai creditori, occorrendo tener conto anche di quello oggettivamente trascorso nella definizione dei procedimenti incidentali, o comunque, connessi, avviati dal curatore per il recupero di attività della massa.
Pertanto, la durata ragionevole del fallimento non è suscettibile di essere predeterminata ricorrendo allo stesso standard previsto per il processo ordinario, in quanto ciò è impedito dalla constatazione che il fallimento “è, esso stesso, un contenitore di processi“, con la conseguenza che la durata ragionevoile stimata in anni tre può essere tenuta ferma solo nel caso di fallimento con un unico creditore, o, comunque, con ceto creditorio limitato, senza profili contenziosi traducentisi in processi autonomi.
In tema di ragionevole durata del procedimento fallimentare può ritenersi normale in procedura di media difficoltà una durata di anni sette allorquando il procedimento si presenti particolarmente complesso (Sezione I, sentenza 24 settembre 2009, n.20549), ipotesi questa ravvisabile in presenza  di un numero particolarmente elevato di creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare, della proliferazione di giudizi connessi alla procedura ma autonomi, della pluralità di procedure concorsuali interdipendenti.
La valutazione dell’indenizzo per danno non patrimoniale resta soggetta – a fronte dello specifico rinvio contenuto nell’art.2 della legge n.89 del 2001 – all’art.6 della Convenzione Europea, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo.